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L'uguaglianza passa dalla lingua

di Chiara Casoli

24 marzo 2014 alle ore 22:49

Tutte le settimane entriamo in quella scuola, durante l'intervallo. La sequenza è sempre la stessa, ormai: noi suoniamo al cancello, la bidella ci vede dalla finestra e ci apre. Varchiamo quella prima soglia e ci avviciniamo all'edificio, con in mano quaderni, pastelli, gessetti colorati e quanto altro pensiamo di usare quel giorno. Evitiamo palloni che volano e camminiamo a zig-zag tra i bambini che si rincorrono...in genere, non riusciamo a fare più di dieci passi prima che una vocina squillante gridi "maestra!". La vocina si muove e porta con sè un esserino sorridente dai capelli lunghi, che ci corre incontro. A questa prima vedetta si aggiungono le altre che, una dopo l'altra, si mettono a correre verso di noi dai quattro lati del cortile, fermandosi solo contro le nostre gambe e le nostre pance: un assalto di abbracci "su due piani".

 

Sono i nostri dieci bimbi del corso di italiano, il "Pronto soccorso linguistico" attivato, presso la scuola elementare Dante Alighieri di Reggio Emilia, dall'Associazione culturale Partecipazione (www.partecipazione.eu). L'età è compresa tra i sei e gli otto anni. La provenienza geografica è il mondo. Chiamiamo chi è già scappato di nuovo a giocare, li prendiamo per mano e saliamo le scale, fino alla nostra piccola aula dalla porta verde, con le sedie in cerchio attorno ai banchi e una lavagna che non aspetta altro che piccole dita e gessetti - entrambi di diversi colori - la riempiano di lettere e parole.

 

Vorrei che vedeste questi esseri umani di sei anni, seduti uno accanto all'altro, che guardano la lavagna con gli occhi spalancati e si sforzano di leggere la nostra lingua, per imparare a salutare e fare amicizia con gli altri. Come si impegnano a pronunciare bene ogni singola lettera, come fanno un paio di "prove" sussurrate prima di leggere a voce alta, come ripetono due o tre volte la stessa parola, per memorizzarla bene. L'anima che ci mettono per guadagnarsi il diritto di esistere, di essere parte di un qualcosa, in armonia con tutta l'orchestra e non, come sperimentano ora in un paese nuovo, una nota fuori posto, che suscita stupore o diffidenza.

 

Pelle diversa, bianca come il latte nel caso di R., nera nera per G. o liquirizia, per S...diversi vestiti, diversi capelli (G. li ha rossi e riccioli, E. castani, G. le treccine nere, R. è biondissima), diversa lingua. Sono nati ai capi opposti del mondo, eppure hanno lo stesso sguardo, mentre conquistano, lettera dopo lettera, pezzi di uguaglianza. E' lo sguardo, che colpisce: spaventato di fronte a una cosa "difficile", divertito quando si pronuncia una parola in modo buffo, concentratissimo durante il "proprio turno" di parlare e di gioia pura, quando ce la fanno. Sono sguardi che non hanno bisogno di traduzione, che sono identici in tutti i bambini. Basterebbero quegli sguardi spontanei, a dimostrare che l'unica razza che esiste è quella umana.

 

Dovreste vederli, questi italiani. Sono davvero belli. E non è l'Italia di domani. E' l'Italia di oggi. Che lo si voglia o meno.

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